oltre i limiti dello spazio MATERIALE.
Intervista a Federica Sofia Zambeletti
A cura di: Ginevra Corso, Nicola Brucoli, Carlo Settimio Battisti
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Il disegno è una delle più primordiali espressioni dell’uomo. Ora che la tecnologia ha preso il sopravvento, che valore ha la fusione tra rappresentazione analogica e digitale?
KooZA∕rch è nata come piattaforma il cui scopo era proprio quello di analizzare questo approccio in relazione alla rappresentazione architettonica. Un momento di cambiamento quasi improvviso dove dal rendering si è virato verso un modo più soggettivo e personale di esplorare l’architettura. Dal collage al montaggio digitale, la proliferazione di piattaforme come Pinterest ha aperto le porte a infinite librerie di immagini. Gli stessi giornali, articoli e libri, che collezionavamo all’interno dei nostri uffici o in casa, sono stati tutto d’un tratto arricchiti dall’infinito database della rete digitale.
Sebbene non sia propriamente analogo, è stato interessante per noi studiare come un processo, che era fondamentalmente nato come un atto fisico, ora avesse trasceso la sua dimensione iniziale per espandersi nel regno del virtuale, dove il tagliare e incollare venivano sostituiti da veloci movimenti di mouse e tastiera. Ancora più sorprendente è stato vedere come le stesse texture e immagini, che si potevano trovare all’interno dei media fisici, venissero scansionate ed elaborate per esplorare queste nuove dinamiche e relazioni digitali. Con KooZA/arch abbiamo esplorato questo immenso potenziale, dando inizio a una ricerca sulla produzione architettonica contemporanea e su quale ruolo avesse l’immagine nel raccontare i suoi stessi concetti. Le immagini, infatti, come raccolta di elementi e reference rafforzano la nozione stessa di architettura come continuum e pratica collaborativa, piuttosto che come uno scoglio isolato. Questo non vuol dire che un metodo di rappresentazione sia migliore di un altro, confidiamo nel mezzo come messaggio.
Il tuo lavoro si basa sul superamento dei preconcetti. Quali sono i limiti della nostra realtà, a partire da quelli culturali? E quali i limiti dell’architettura? In che modo essa può essere strumento per superarli?
Siamo orgogliosi dell’idea che KooZA∕rch come piattaforma digitale sfidi i limiti sia da un punto di vista concettuale, in quanto i progetti condivisi reinventano e mettono costantemente in discussione i limiti dell’architettura, sia da un punto fisico, espandendosi oltre i limiti dello spazio materiale nell’infinito digitale. In questo senso per noi l’architettura è il perfetto strumento con cui ripensare a molte delle dinamiche odierne dal culturale al sociale e politico, mentre il format della piattaforma digitale consente una conversazione veramente globale.
Per noi esemplari sono gli spazi, come MIT Lab diretto da Neri Oxman, nel quale l’abc dell’architettura è costantemente messo in discussione e dove si sperimentano idee per un’architettura del futuro, che non è più definita da elementi e parti create dall’uomo, ma invece ambisce ad essere una struttura organica che deriva ed esiste in simbiosi con la natura. Invece di definire l’architettura come una disciplina che appartiene solamente agli architetti, il team di MIT include scienziati, biologi, antropologi, visualizzatori di dati, creando una collaborazione energetica ed aperta. Il laboratorio è testimone che l’architettura è più forte quando è in dialogo con altre discipline, una lezione da estendere a molti altri campi e in relazione a diverse dinamiche.
L’architetto è da sempre in equilibrio tra tecnica, antropologia e arte. A questa figura si aggiungono le complessità di una realtà multiforme, dove i ruoli sono fluidi. Essere architetto significa svolgere un lavoro indefinito?
Non pensiamo che la professione dell’architetto sia indefinita, tutt’altro, a nostro parere la percepiamo legata ed intimamente connessa allo spazio. Il più delle volte la nostra attività ci permette di avventurarci e di collaborare con altre professioni creative imparando e sperimentando in scale, materiali e manufatti diversi. D’altra parte affrontiamo ogni tipo di lavoro con la prospettiva di un architetto, ovvero interpretiamo altre discipline con cui andiamo in contatto attraverso una lente molto specifica.
Il riflettere essenzialmente sul ruolo dell’architetto e sulla sua professione richiede di tornare a chiederci cosa sia “l’Architettura”? Ci fa sorridere il ricordo del primo brief affrontato da matricole all’Architectural Association, dove ci veniva chiesto di definire il termine architettura e disegnare l’autoritratto dell’architetto. Le discussioni e dibattiti nati sono stati i primi assaggi di sei anni di sperimentazione architettonica. In realtà, ripetere questo esercizio alla fine della carriera accademica, sarebbe, un interessante esperimento, specialmente per uno luogo come l’AA dove il significato del termine architettura è sempre messo in discussione e ampliato.
Hai una cifra italiana che hai esportato nel mondo. Saresti lo stesso architetto di oggi se fossi in Italia?